La vita è meravigliosa (Capra)

C’è da fare una premessa: pochi film come “La vita è meravigliosa”, di Frank Capra, 74 anni dopo, possono risultare più antipatici, fastidiosi, irritanti, e non solo per i rispettosi del politicamente scorretto ma anche per chi, come me, del politicamente scorretto se ne frega.

Come al solito, però, vi raccomando, prima di spoilerarvi il film, di vedervelo prima. Poi, magari qualche giorno dopo, mi leggerete.

Fatto? Benissimo!

Dicevo, oggi è irritante, pure per chi femminista non è, vedere una donna come Mary che vive solo per il suo grande amore e la sua famiglia, che non ha nessun altro interesse, obiettivo, ambizione.

Non parliamo poi del comportamento del protagonista, soprattutto nella scena dove lei è in accappatoio, romantica, da un lato, ma passibile di essere accusata come machista e irrispettosa per i crismi e canoni attuali.

È irritante la spudorata retorica cristiana trasudante in tutto il film, l’atmosfera buonista, familistica, patriottica del film (Dio-patria-famiglia).

Il protagonista che rinuncia a vivere la vita che desidera per continuare il lavoro del padre, tra l’altro in una condizione di perenne povertà e precarietà, nonostante il suo immenso lavoro, fatica, dedizione. 

È irritante vedere i poliziotti che sparano addosso a uno che al massimo potrebbe essere un malato di mente che scappa, soprattutto sapendo con quale facilità i poliziotti americani uccidano. È irritante sentire George esclamare: “C’è anche la negra!” (Linguaggio del tempo).

È deprimente anche solo concepire tutte quelle piccole vite che si svolgono interamente in un piccolo paesino, come se non si potesse aspirare a qualcosa di meglio, nella vita, che una piccola casa, una famigliuola e un lavoro qualunque per tirare a campare.

E tuttavia “La vita è meravigliosa” resta a mio parere un film bellissimo. 

O comunque, io lo amo particolarmente.

“La vita è meravigliosa” racconta, al di là delle sue vesti più fiabesche, naiv e folcloristiche, gli archetipi coi quali tutti noi siamo destinati a confrontarci dall’inizio alla fine della nostra vita.

Bedford rappresenta il mondo, e dentro il mondo tutte le passioni che lo agitano, i più alti e nobili ideali e le peggiori brame, istinti, egoismi.

In fondo il vecchio “Avere o essere” di Erich Fromm.

Harry Potter (sì, si chiama proprio così, come il maghetto della Rowling, ma 50 anni prima, e molto meno simpatico) rappresenta l’alta finanza, le grandi banche, chi si vuole impadronire di tutto il paese (cioè il mondo) con politiche e affari più che spregiudicati, criminali e disonesti.

“Si è già impadronito delle banche, dei servizi di trasporto…” (54° minuto)

Chi è sempre servito e riverito, per il suo potere e per i suoi soldi, pur essendo il più odiato. Chi pensa solo a estendere il suo dominio, il suo controllo, coloro a cui non importa nulla della felicità, del benessere, della serenità degli altri, fossero  anche il mondo intero. Gli importa solo di accumulare tutte le risorse, tutte le ricchezze, tutto il potere. 

A chi vi fa pensare, di questi tempi?

George invece rappresenta colui che si sacrifica per tutti gli altri e rinuncia a tutti i suoi sogni, per esempio a viaggiare, a esplorare il mondo, colui che vuole essere libero e invece finisce per sposarsi, non sa neanche bene lui perché, e mette su una torma di figli. 

Quello che resta tutta la vita in uno sputo di paese, di cui diceva, da giovane, che a restarci “sarebbe impazzito”. Purtroppo o per fortuna non tutti siamo e possiamo sempre essere idealisti e altruisti come George, e neppure volgari e crudeli e meschini nel cuore come Harry Potter, personaggio-tipo molto simile al protagonista di Canto di Natale, di Dickens, altra storia imperdibile.

Ma la parte più bella e toccante è la seconda parte del film, dove George viene soccorso da un angelo. 

Colpito dalla sfortuna, dal pericolo del fallimento, del disonore, della prigione e della perdita di tutto ciò che aveva, per l’ignominia del malvagio Potter,

Bailey medita di uccidersi. 

Interviene un angelo, non molto intelligente ma “con la fede di un bambino”, che aiutandolo si procaccerà le sue ali, che ancora gli mancano: è un angelo di seconda classe. Lo stratagemma escogitato scomoda altre dimensioni. L’angelo, Clarence, fa vivere George per qualche ora (per noi soli 16 minuti) in un mondo in cui lui non è mai esistito, non è mai nato. 

Poiché George ha pensato che la sua vita non avesse alcun senso, che sarebbe stato meglio non esser mai nato, Clarence gli fa toccare con mano cosa ne sarebbe stato del suo paese, che è un po’ tutto il suo mondo, in fondo come il paesino di Truman Show. 

Se lui non avesse continuato per tutta la sua vita ad aiutare gli altri costruendo per loro case funzionali a prezzi onesti, essendo indulgente coi disoccupati e con chi non aveva la possibilità di pagare subito. 

Tutto il paese è terribilmente più infelice, imbruttito, egoista, in preda all’ansia e alla depressione, dipendente dall’alcool e dalla prostituzione. 

La stessa città, Bedford, ora si chiama Potterville, ha preso pure il nome dal suo malvagio dominus.

Non esiste il villaggio Bailey, le confortevoli case costruite dalla sua società, al suo posto c’è ancora il vecchio cimitero.

E ai cittadini di Bedford trasformatasi in Potterville Potter ha dato non solo il suo nome, ma anche il suo animo gretto e meschino. È come se tutti si fossero trasformati in piccoli Potter, ma senza i suoi soldi.  

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11:35 

Tutto quello che George aveva fatto, che era stato buono e giusto, non esiste più e non c’è mai stato, e le catene di conseguenze da lui innescate che hanno portato a vite più felici e serene si sono trasformate, in sua assenza, in catene di disperazione, di infelicità, vite affogate nel vizio, nei debiti, nella depressione, nella rabbia, nella continua diffidenza verso gli altri. 

Sì, un po’ il mondo che si sta realizzando da un anno e mezzo a questa parte.

Le ottime case da lui costruite non ci sono più, ci sono solo le catapecchie di Potter, che spadroneggia senza antagonisti, e nel paese se ne vedono i suoi macabri effetti: dove a Bedford c’erano biblioteche e piccoli negozi adesso George vede night-club, banchi dei pegni, saloni-bordelli dove i poveracci affogano le loro angosce nell’alcool e con donne costrette alla prostituzione dalla miseria.

Le decine di soldati salvati in guerra dal fratello erano morti a loro volta, perché il fratello non era stato salvato da George, ed era morto a soli otto anni.

Non si era salvato neppure l’altro bambino, a cui lui, accorgendosi dell’errore, non aveva portato le pillole che il vecchio farmacista per sbaglio aveva preparato col veleno. Per questo era finito in galera per omicidio;  uscitone si era ridotto a un povero pazzo ubriacone. Idem per il vecchio zio. Sua moglie, interpretata meravigliosamente da Donna Reed, era rimasta una zitella, la cui camminata dava da sola l’idea della sua chiusura e infelicità.

Ma tutto il paese, anche chi non sembra soffrire di povertà, dal padrone del saloon ai poliziotti, a chiunque lui incontra in quel breve lasso di tempo, emanano rabbia, dolore, angoscia.

Un paese, un mondo non dissimile da quello che stanno costruendo con tanta solerzia, l’odierna Potterville, imperniato sulla solitudine, sulla paura, sulla criminalizzazione del dissenso. 

Però il film finisce bene e George capisce finalmente il valore di tutto quello che ha: la moglie, i figli, l’affetto di innumerevoli amici che lo aiuteranno, tutta la felicità che ha contribuito a costruire in tanti anni, la serenità che senza di lui non ci sarebbe mai stata. 

Così Clarence lo fa ritornare al suo mondo/al suo paese dove tutti sono, – non dico felici-, ma più o meno sereni, hanno una vita almeno accettabile.

Sì, un po’ come quella pre-covid, dove era possibile lavorare, viaggiare, divertirsi, ritrovarsi, riunirsi, e anche curarsi se si stava male.

Questo è certamente l’aspetto più bello del film, ricordarci come ognuno di noi possa innescare/avviare/far proseguire dei domino, delle sequenze, dei circoli positivi e gioiosi; oppure di dolore, miseria, malattia e angoscia.

Si sa, nei film e nella cultura americana sembra che tutto ciò dipenda da uno solo, dall’eroe di turno, qui George Bailey, e questo è il limite del film e di tutti i film americani, ma non di meno la storia ci rammenta preziosamente la responsabilità di ognuno/a di noi verso per la felicità/infelicità dell’intero paese/città/nazione/mondo in cui viviamo, a seconda del nostro ruolo, capacità, posizione. 

Piccoli o grandi luoghi che possono restare delle confortevoli Bedford o tramutarsi, come il nostro mondo di oggi, in un’angosciante Potterville.  12:10

P.S.: Faccio notare, en passant, due scene del film.

La prima volta che George riesce a salvare la società di mutui, dice allo zio:

“Noi siamo due geni della finanza, 

– Rockfeller!” Risponde lo zio. (56° minuto).

Al 48° minuto pare stilare un elenco dei luoghi su cui il malvagio Potter ha già esteso le sue brame, che continuano…

Al 56°, parlando di Potter, sembra elencare l’estensione del green pass, l’antesignano del microchip: Controlla la banca, i trasporti, i grandi magazzini, e vuole anche noi.

E a 1 ora e 9 minuti, rifiutando di farsi comprare da Potter, dopo avergli stretto la mano e a quel tocco viscido rinsavito dalle sirene della sua proposta di diventare un suo dipendente, gli urla in faccia:

“Se ne sta qui a tessere la sua tela e crede che il mondo giri intorno a lei, ma non è così. In questo grande universo lei non è altro che un ragnetto!” (Un vilissimo piccolo ragno, nella traduzione italiana).

Così, per dire.

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